Nell’editoria accademica il fattore di impatto (impact factor o IF in inglese, come generalmente nella normativa e nelle procedure italiane) è un indice sintetico che misura il numero medio di citazioni ricevute in un particolare anno da articoli pubblicati in una rivista scientifica (Journal) nei due anni precedenti.
L’IF è come uno strumento di promozione commerciale. Molto spesso, infatti, dietro a reboanti lavori scientifici, si annidano richiami meramente commerciali, che tanto hanno da condividere con ricerche finalizzate alla loro magnificazione.
Ne consegue che l’obiettività ideologica che in genere si pretende da un “paper”, viene sottomessa al messaggio finalizzante gli esiti della ricerca.
Infatti, oltre alla decisione elementare di escludere le riviste che non sono sufficientemente regolari, l’ISI cercò di sviluppare criteri che le consentissero di misurare l’utilità, ai suoi fini, dell’inclusione o esclusione di una rivista. E’ per questo che è stato introdotto lo IF. Esso è un numero associato ad una rivista per un certo anno che si definisce come segue:
Lo IF della rivista X nell’anno N, è il rapporto tra numero di citazioni rilevate nell’anno N sulle riviste incluse nella banca dati, di articoli pubblicati negli anni N-1 e N-2 sulla rivista X, diviso per il numero totale degli articoli pubblicati negli anni N-1 e N-2 sulla rivista X.
Questo indice è stato ritenuto utile dall’azienda per decidere la permanenza di una rivista nella sua banca dati. Se una rivista è poco citata, in rapporto agli articoli che pubblica, non vale la pena di dedicarvi il costoso lavoro di esaminarne gli articoli per le citazioni.
Ma in realtà l’importanza dell’indice, dal punto di vista del suo inventore, sta nel fatto che è possibile presentarlo alle biblioteche scientifiche delle università e centri di ricerca americani, come uno strumento per decidere se sia conveniente acquisire o mantenere l’abbonamento a una rivista.
Il fattore di impatto è stato elaborato nel 1955 da Eugene Garfield, un chimico statunitense. L’Institute for Scientific Information (ISI) è stato fondato da Eugene Garfield nel 1960. Nel 1992 è stato acquisito dalla Thomson Scientific & Healthcare, divenendo noto come Thomson ISI. A seguito dell’acquisizione di Reuters da parte di Thomson e la conseguente nascita del gruppo Thomson Reuters l’Impact Factor è ora un “prodotto” della Thomson Reuters Corporation, divisione Healthcare & Science. Nel 2016 Reuters ha avviato la trasformazione di Clarivate in un soggetto indipendente, in seguito ceduto alle società di “private equità” Onex Corporation e Baring Private Equity Asia.
A causa del fatto che per calcolare l’IF occorre un minimo di tre anni e che trascorre un tempo imprecisato (di solito qualche anno) prima che una rivista sia inserita nelle banche dati Thomson Reuters, le riviste più recenti – anche se pubblicate da prestigiose associazioni scientifiche – possono non avere l’IF per molti anni.
Secondo l’opinione di Eugene Garfield e della Thomson Reuters stessa, quindi, questa misura deve essere usata in modo prudente per la valutazione di singoli ricercatori in quanto, almeno in parte, discutibile, controversa e soggetta ad abuso.
Eugene Garfield e Thomson Reuters mettono in guardia nel valutare mediante impact factor i singoli ricercatori anche perché esiste un’ ampia variazione della qualità degli articoli in un singolo giornale. Inoltre l’IF non tiene conto del numero di autori di un singolo articolo, della complessità della ricerca; per cui a tutti gli autori si può attribuire lo stesso IF in articoli che spesso hanno un numero di autori molto elevato, non giustificato e i cui ruoli nella ricerca pubblicata non sono chiariti almeno in nota.
Un’altra incongruenza è relativa all’ampia variazione dell’IF fra le discipline e fra riviste mainstream o focalizzate su argomenti più circoscritti. L’uso dell’IF per paragonare due ricercatori che si occupano di argomenti simili ma non identici – entrambi pur con pubblicazioni internazionali su riviste peer-reviewed – premia di solito il ricercatore che pubblica su argomenti che seguono il mainstream e, quindi, con una elevata probabilità di citazione.
La rincorsa all’impact factor può quindi vincolare la ricerca a fini differenti da quelli che le sono propri e premiare sempre gli stessi ricercatori o le stesse tradizioni di ricerca a scapito dell’originalità, dell’innovatività e della ricerca su argomenti oggetto di comunità scientifiche meno numerose e con un numero di riviste poco numeroso. Sia Eugene Garfield che Thomson Reuters declinano ogni responsabilità nell’abuso dell’IF e richiamano l’attenzione sul fatto che, per la valutazione di una buona ricerca, occorre sempre una attenta peer review.
Nel giugno 2017 la Fondazione Nobel ha inserito alcuni video nei propri canali Twitter e YouTube in cui si riportano le opinioni di alcuni vincitori di Premi Nobel, secondo cui è la ricerca, non la rivista su cui viene pubblicata, che è importante: uno studioso dovrebbe essere valutato sulla base della qualità della sua ricerca, non sulla base della rivista su cui pubblica i suoi lavori o in base ad indici. Secondo questi interventi, gli sforzi attuati da alcuni studiosi per riuscire a pubblicare su riviste ad alto impact factor possono essere a volte una semplice perdita di tempo, o addirittura controproducenti, perché il processo editoriale può essere così protratto nel tempo e richiedere così tanti requisiti che un articolo finisce per essere completamente illeggibile. Il risultato viene paragonato dai Premi Nobel ad un porridge, una pappa d’avena.
Internet ha reso gratuitamente disponibile un gran numero di working papers senza riviste, o intere nuove riviste. Tale accessibilità, unita allo straordinario potere dei motori di ricerca, rende sempre più citati gli articoli raggiungibili in internet, che tendono a sfuggire all’universo tradizionale (riviste accademico scientifiche peer-review) indicizzato nel Journal of Citation Reports, ai fini del fattore d’impatto.
Quanto appena detto rende chiara quella che è la situazione ed è necessario quindi riportare il valore della ricerca alla sua funzione originale: l’utilità!
L’utilità di una ricerca è indipendente dalle citazioni ricevute ma dipende dall’impatto che possiede sulla società in cui si vive e quindi come contribuisce, in qualche misura, al suo cambiamento e quindi quanto la influenza.
Bisogna che una ricerca possa essere conosciuta dalla società innanzi tutto e non essere esclusivamente appannaggio degli addetti ai lavori adducendo che i contenuti sono esclusivamente per un pubblico accademico.
Un esempio paradigmatico a supporto delle nostre affermazioni è molto recente e si riferisce al clamore mediatico suscitato dall’impiego di certi farmaci nel trattamento della sindrome Covid-19 conseguente a virosi SARS-CoV-2.
Lancet possiede a oggi un Impact Factor elevatissimo, pari a 59.102
È ovvio che di fronte a tale “credibilità scientifica” ogni frase riportata sulla rivista sia Vangelo per i ricercatori.
Così non è.
Un recente articolo che demonizzava l’idrossiclorochina nel trattamento dell’attuale virosi da Corona Virus, ritenuta non solo inutile ma anche dannosa nei pazienti covidiani, è stato immediatamente ritrattato e ritirato dalla redazione.
I ricercatori di buona volontà hanno ravvisato in tale comportamento un ravvedimento ideologico, capace di scardinare imposizioni commerciali interessate, di fronte a un’enorme messe di lavori scientifici e stravolgenti evidenze cliniche a favore della tanto vituperata molecola.
Le considerazioni che possono scaturire da tali comportamenti dirigono verso l’unica direzione intellettualmente plausibile del conflitto di interessi, che coinvolge i massimi sponsor dell’informazione scientifica mondiale: industria chimico-farmaceutica.
Questo ergersi al di sopra delle masse si chiama semplicemente Ego, ed è questo che fa si che sia rilevante l’Impact factor per quei ricercatori che lo ricercano disperatamente.
È tempo che la vera ricerca scientifica si scrolli di dosso antichi retaggi lobbystici, offrendosi a un vasto pubblico ed evitando disdicevoli sentori di inquinamento ideologico.
La Rivista Scienze Biofisiche utilizza un altro sistema come Impact Factor: la visibilità pubblica!
Il nostro interesse è che il pubblico possa arrivare alle ricerche e conoscerle e magari attraverso esse acquisire una diversa consapevolezza della realtà delle cose che lo circondano.
Meglio un articolo visto da 500 persone che citato 100 volte, perché le 500 persone possono in parte acquisire una diversa consapevolezza mentre i 100 autori che citano la ricerca lo fanno prevalentemente per dare forza alla propria ricerca perché sia accolta e citata a sua volta.
Se sei un ricercatore e vuoi contribuire alla consapevolezza della società di cui fai parte pubblica con noi … Pubblica su Scienze Biofisiche!
Dir. Scientifico Istituto Biofisica Informazionale
Roberto Fabbroni
Dir. Rivista Scienze Biofisiche
Sergio Resta
Scienze Biofisiche: www.scienzebiofisiche.it